La vita è un’altalena di gioie e dolori, a tutti noi succede di essere felici e soddisfatti, e a volte di soffrire. Talvolta invece soffrono le persone che abbiamo vicino. Questo articolo nasce da alcune riflessioni pensate per chi, nei momenti critici, sente di non sapere mai cosa dire, cosa fare o come comportarsi. Perchè stare vicino a chi soffre non è semplice, nonostante il desiderio di prendersi cura dell’altro.
#01: Il dolore non sempre è visibile e manifesto
Ci sono sofferenze nascoste. Che siano dentro al corpo, in punti dove i nostri occhi non possono vedere, o che siano sofferenze della psiche o dell’anima, bisognerebbe semplicemente capire che esistono, e si manifestano magari in modi non convenzionali. Chi ne è spettatore deve ricordarsi di non minimizzare nè banalizzare un dolore che non si può vedere; è più facile comprendere chi ha, per esempio, una gamba ingessata, che non… una depressione, una malattia autoimmune, il cuore spezzato. Peccato che, spesso, l’essenziale sia invisibile agli occhi, come insegnava una volpe al piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Non si vede bene che col cuore. Se non sapete cosa fare, abbiate sentimento, abbiate anima.
#02: Il dolore dell’altro può avere delle conseguenze anche su di noi
Cosa significa? Che, per fortuna, non siamo immuni e impermeabili al dolore dell’altro, soprattutto se si tratta di una persona a noi vicina; dico “per fortuna” perchè siamo umani e non robot. E’ proprio nel momento in cui siamo toccati dalla sofferenza che sentiamo di non sapere più come comportarci, perchè il dolore dell’altro è così grande che inizia a generare un germoglio di ansia dentro di noi. La tentazione può essere quella di allontanarsi, perchè non è semplice riuscire a stare con la sofferenza, oppure di voler a tutti i costi dire o fare qualcosa di riparatorio o di consolatorio. In questo caso è importante riconoscere la propria ansia e capire che si tratta di una reazione alla situazione contingente, che si può gestire senza fuggire e senza voler strafare. E’ l’altra faccia dell’empatia: farsi contagiare un poco dal dolore dall’altro, permette anche una maggiore vicinanza e una maggiore comprensione.
#03: Non curare, ma prendersi cura
Di qualsiasi sofferenza si tratti, difficilmente si può “curare” l’altro che soffre. La bacchetta magica non è un accessorio che abbiamo in dotazione alla nascita. E’ però possibile coltivare una funzione interna che tutti possediamo, la capacità di prendersi cura dell’altro. La psicologia come scienza ha fatto del “prendersi cura” un mestiere, con i suoi strumenti e le sue peculiarità, ma ricordiamoci che la psicologia è una funzione della mente, e in questo senso “siamo tutti un pò psicologi”. Come prendersi cura di chi sta male, se siamo un amico, un parente, un collega o il partner? Esistono competenze non specialistiche che sono alla portata di tutti: non giudicare, ascoltare, offrire la propria presenza. In una parola: esserci.
#04: Il rispetto per l’altro
E’ importante rispettare il dolore dell’altro, ma lo è anche rispettare il modo in cui il diretto interessato affronta la situazione dolorosa. Ognuno ha il suo modo di reagire ai fatti della vita, non date per scontato che tutti facciano come voi, o che il vostro metodo sia il migliore. A volte il confine tra dare un consiglio e dare un giudizio è sottile.
#05: Questione di buon senso: non esagerare
Quando non si sa cosa dire o cosa fare, lasciarsi guidare dal semplice buon senso è già un’ottima soluzione. Non esagerare: flagellarsi sulla pubblica piazza per esprimere cordoglio e solidarietà non porterà a nulla. Professarsi in messaggi e telefonate strappalacrime risulterà strano se a farlo è un semplice conoscente e non l’amica del cuore. Pubblicare messaggi di simpatia e vicinanza sui social, generalmente è indelicato. Poichè avete la fortuna di non essere voi a soffrire in prima persona, non siate una presenza ingombrante per il vostro amico/collega/parente/ecc. Sarà sufficiente un semplice: “mi dispiace, sono qui per te”.
#06: Chiedi
“Sei triste, vieni che ti faccio divertire io” non sempre può essere una valida strategia per stare vicino a qualcuno che soffre. Oltre a presumere i bisogni dell’altro, a volte chi sta male non ha bisogno di troppe parole e troppa presenza, ci sono situazioni in cui sono graditi il silenzio e il rispetto degli spazi personali. La solitudine può anche fare bene, specialmente alle persone più introverse. Piuttosto, se vi sembra che l’isolamento stia diventando eccessivo, iniziate a chiedere. Chiedi “come stai” per sapere la verità e non la risposta convenzionale “bene”. Chiedi e ascolta. Chiedere è anche un modo per stare più vicino.
#07: Il rischio di fare paragoni
Ogni persona è diversa, ogni dolore è diverso. Se l’ansia di “fare qualcosa” per l’altro vi spinge sulla via del “io farei/Tizio ha fatto”, chiedetevi se è davvero utile per chi soffre saperlo, o se così state placando la frustrazione di sentirvi inutili. Condividere una strategia o delle conoscenze di cui avete avuto esperienza diretta, in determinate situazioni può effettivamente aiutare l’altro, magari per non farlo sentire solo. Se invece subentrano le parole “meglio” e “peggio”, il rischio è di fare paragoni e giudicare.
#08: Sdrammatizzare
In determinate situazioni si può avere la tentazione di sdrammatizzare, fare una battuta. Certamente si può fare, con tatto e delicatezza, quando però la sofferenza non è acuta, ovvero non è al suo massimo. Evitate invece le battutacce o l’amara ironia. Non servono parole argute, che rischiano di fare solo male se l’altro non è ben disposto. Allenate, piuttosto, i muscoli del sorriso nella palestra della sensibilità.
#09: Il silenzio è d’oro
Non sapete cosa dire? Non dite nulla. Forse significa che non c’è niente da dire. Ascoltate, che siano parole o che sia silenzio, poichè lì volano i pensieri e soprattutto le emozioni. Il silenzio indica rispetto. Siate presenti, siate testimoni, siate la spalla su cui piangere. Non siamo fatti di sole parole, abbiamo un corpo che può abbracciare, scaldare, confortare, sostenere. Ed è già molto. La presenza parla più di mille parole.
#10: Non usate tattiche o “psicologia inversa”
Di fronte al dolore c’è bisogno di sincerità e dignità. Niente strategie, niente trucchi, niente provocazioni o strani tentativi di “psicologia inversa”. Non caricate il vostro amico/partner/familiare con inutili pesi aggiuntivi. Non indorate la pillola. Guardatevi nello specchio della vostra anima e fate i conti con il vostro giudice più crudele: voi stessi. Cosa fareste al suo posto? Cosa vorreste o non vorreste sentirvi dire? Ovviamente siamo tutti diversi, sentiamo e vogliamo cose diverse, ma queste domande, tenendo conto dei punti già trattati da questo piccolo decalogo, possono essere una bussola per orientarvi.
Conclusioni
Queste riflessioni, frutto di studio, letture ed esperienze di lavoro e di vita, vanno sempre contestualizzate. A cosa servono questi dieci punti? A rassicurarvi: less is more, meglio fare “poco”. Che, in realtà, poco non è. Nessuno di noi è un salvatore, e “tanto” rischia di diventare “troppo” in un attimo. Essere presenti, onesti, rispettosi; chiedere e ascoltare invece di riempire il vuoto con le vostre parole. Tollerare il silenzio, soffrire un pò insieme all’altro. Basta riuscire a seguire un punto qualsiasi di questo decalogo per stare veramente vicino a una persona che per qualche motivo sta soffrendo e si trova ad affrontare un momento difficile della sua vita.
Tuttavia capiterà di fare degli scivoloni, capiterà di non sertirsi abbastanza, e allora vi regalo le parole di un grande analista del passato, Donald Winnicott. Alle madri, ruolo per eccellenza di chi si prende cura dell’altro, diceva di essere “sufficientemente buone” con i loro figli, e similmente ai colleghi diceva “non cercare di essere uno psicoterapeuta perfetto, ammesso e non concesso che possa esistere, sarebbe troppo impegnativo per il paziente”. E per te stesso.