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13 reasons why: breve recensione

13.jpgCon molto ritardo mi accingo a scrivere qualche riflessione sulla serie Netflix Tredici, 13 reasons why. Perchè ne sto scrivendo così tardi? Perchè per me è importante dare una lettura che non sia connotata da un giudizio di valore sulla serie o sul personaggio principale e i suoi comportamenti.

Tredici parla di una giovane ragazza americana di 17 anni, Hannah Baker, che si toglie tragicamente la vita e racconta in tredici episodi i motivi del suo gesto anticonservativo, portando allo scoperto i segreti e gli scandali del suo liceo, in particolare la serie tratta di bullismo e cyberbullismo, molestie e violenze sessuali.

Quello che mi colpisce della serie, al di là dei contenuti, è la reazione degli spettatori, che sembrano dividersi tra due poli opposti, chi la ama e chi la odia. Per cui è su questo aspetto che vorrei concentrarmi: perchè questa divisione netta, senza vie di mezzo?

CHI LA AMA

Mi sono documentata sulla rete, e provo a sintetizzare i motivi per cui alcune persone amano questa serie tv. Intanto, sembra che tecnicamente sia una buona serie, girata bene, con bravi attori, una bella fotografia, insomma è piacevole da vedere nel vero senso della parola. Altri motivi per cui piace è che tratta temi delicati e con cui non è difficile immedesimarsi, specialmente il bullismo. Chi ama Tredici probabilmente empatizza con la vittima, la protagonista Hannah, che si trova a vivere momenti di tristezza e/o spiacevoli, in cui si sente sola, esclusa, non capita e non considerata. Se amate Tredici e non siete d’accordo con la mia sintesi semplicistica, vi prego di lasciare un gentile commento.

Forse chi apprezza la serie ha a cuore che si parli di temi di attualità e che si prenda consapevolezza di alcune dinamiche che purtroppo possono capitare in adolescenza. Su questo punto, ho sentito/letto persone affermare che bullismo, suicidi e violenze sessuali sono assai comuni in adolescenza, e qui starebbe il valore di Tredici, come occasione per riflettere. Vorrei però fare alcune precisazioni:

  1. il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni che di per sè interessano le fasce infanzia e adolescenza. Molti progetti scolastici promossi dagli psicologi riguardano proprio la prevenzione o il trattamento del bullismo. In America il fenomeno è particolarmente presente e rilevante.
  2. i suicidi sono la seconda causa di morte in adolescenza, la prima è costituita dagli incidenti stradali. Ma il suicidio è un gesto estremo in cui intervengono diversi fattori di rischio, tra cui la psicopatologia, specialmente se i disturbi psichici sono non riconosciuti o non trattati. In generale i dati Istat (2012) presentano la fascia d’età più matura dai 45 anni in su come quella col numero assoluto (quindi non in termini percentuali) più alto di suicidi, e quella degli adulti e dei giovani adulti dai 25 ai 44 anni come la fascia che in termini assoluti (non valori relativi sul totale) compie più atti di tentato suicidio. E’ quindi riduttivo parlare di suicidio come di un fenomeno esclusivamente adolescenziale, come si può fare invece nel caso del bullismo.
  3. Molestie e violenze sessuali sicuramente interessano di più le giovani donne, e quindi sono presenti anche in adolescenza, ma la situazione è particolarmente complessa: Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in maggiore misura rispetto alle altre (51,4% contro il 31,5% della media italiana) […] Analizzando i tassi della violenza fisica o sessuale subita negli ultimi 5 anni, sono le donne più giovani (fino a 34 anni), con tassi doppi rispetto alla media nazionale […]  tuttavia […] rispetto al 2006, per le donne fra i 16 e i 24 anni la violenza fisica o sessuale è in calo Per avere un quadro realmente esaustivo del fenomeno, invito a visionare le pagine Istat dedicate.

Queste specifiche servono a fare chiarezza sul panorama italiano, sicuramente diverso da quello americano cui la serie tv fa riferimento. Inoltre si tratta di aree talmente vaste, per cui bisogna ricordare che la vicenda presente in Tredici mostra solo una piccola parte delle problematiche sopra presentate: in sintesi, questa serie può essere un’occasione per creare consapevolezza, ma non deve essere un pretesto per generalizzare nè per banalizzare, o peggio ancora, giustificare.

tredici

CHI LA ODIA

Chi la odia, generalmente non sopporta neanche la protagonista Hannah Baker. E qui la situazione si fa spinosa, perchè nella serie tv ovviamente Hannah non si è comportata in modo efficace, tanto da arrivare ad agire l’atto anticonservativo per eccellenza. Il rischio è di banalizzare la sofferenza (seppure frutto di una fiction) senza comprendere che la serie mostra tutto ciò che, in effetti, non si dovrebbe fare. Quindi è naturale che in alcuni la figura di Hannah provochi fastidio e rabbia. Inoltre il suicidio di per sè scatena questi sentimenti, non è sociamente accettabile, specialmente se riguarda la perdita di una persona giovane. Per chi volesse approfondire l’argomento del suicidio, consiglio il libro Il suicidio e l’anima di James Hillman.

Il personaggio di Hannah in particolare presenta forti ambivalenze e contraddizioni: vorrebbe essere “buona” e moralmente corretta e attenta, al di sopra dei luoghi comuni, ma i suoi comportamenti dimostreranno che la realtà non è così semplice e lineare. Hannah vorrebbe essere “al di sopra” di certe cose che sono importanti per i teenager americani come la bellezza, la popolarità, la ricchezza e il successo accademico e/o sportivo, salvo poi posare come modella per il fotografo, fidanzarsi con un atleta, avere come migliore amica una cheerleader e, sostanzialmente, snobba l’altro protagonista della serie, l’amico Clay che è sempre stato innamorato di lei, a cui spesso rimarca che lui sia uno strano, diverso e un pò (si può dire?) sfigato per il contesto in cui si trovano.

Inoltre Hannah assume in modo naturale il ruolo di vittima se non di vittima designata, quando invece avrebbe tutta una serie di risorse su cui contare, ma che non sfutta: è bella, è intelligente, ha una famiglia unita e che la ama, ha amici leali come Clay e Tony che però svaluta e a cui non chiede aiuto. Anche per questi motivi è un personaggio che fa arrabbiare.

PSICOPATOLOGIA DI TREDICI?

Dal momento che, come accennato prima, il fenomeno del suicidio in adolescenza può essere legato a fragilità intrinseche dell’età, delle caratteristiche personali, del contesto di vita, ma anche una sofferenza psichica non riconosciuta o disturbi non trattati, mi è sorto il dubbio che il personaggio di Hannah presenti come fattore di rischio anche un aspetto di psicopatologia.

Oltre alle dinamiche presentate dalla serie tv, che non sono certo esempi di dinamiche sane (Hannah che non sa dire “No” o “Non è vero”, che scarica colpe e responsabilità solo all’esterno, cioè sugli altri, e non mette in atto comportamenti di auto-protezione, ecc), è proprio la reazione odio – amore del pubblico a confermare la mia teoria.  Si dice che davanti a una determinata struttura di personalità, che non nominerò per evitare fraintendimenti e auto-diagnosi, le reazioni degli altri siano o di amore, con senso di protezione e cura, o di odio, fastidio, rabbia. Senza vie di mezzo.

Il mio obiettivo in questo articolo non è fare diagnosi su Hannah, nè su altri personaggi. Tutti i fattori di rischio sopra citati non sono e non devono essere spiegazioni o motivazioni sul fatto che siano avvenuti certi fatti gravi nella storia: la responsabilità è sempre dell’aggressore. Nella fiction come nella vita reale. Questo è il vero messaggio che deve passare.

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Una fiaba per Halloween: la donna scheletro

In molti articoli ho già parlato delle fiabe e dell’importanza che rivestono per la psiche umana: fenomeni collettivi, sono rappresentazioni universali dei meccanismi di crescita della psiche.

Oggi è il 31 ottobre e torno con un articolo su Halloween, festa che tradizionalmente celebrava l’ultimo raccolto dell’anno e il passaggio alla stagione invernale, più buia e fredda, associata anche al mondo degli spiriti e dei morti. Si trattava quindi di un rito di passaggio.

La fiaba che vado a proporre non ha dirette connessioni con Halloween, se non per il fatto che parla di una donna scheletro e che ha a che fare col mondo degli spiriti. Si tratta di una fiaba Inuit, ambientata fra i ghiacci e racconta di una rinascita.

Aveva fatto qualcosa che suo padre aveva disapprovato, sebbene nessuno più rammentasse cosa. Il padre l’aveva trascinata sulla scogliera e gettata in mare. I pesci ne mangiarono la carne e le strapparono gli occhi. Sul fondo del mare, il suo scheletro era voltato e rivoltato dalle correnti.
Un giorno arrivò in quella baia, dove un tempo andavano in tanti, un pescatore. L’amo del pescatore scese nell’acqua e si impigliò nelle costole della Donna Scheletro. Pensò il pescatore: “Ne ho preso uno proprio grosso!” Intanto pensava a quanta gente quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire, a quanto sarebbe durato, per quanto tempo avrebbe potuto restarsene a casa tranquillo. E mentre stava cercando di tirare su quel gran peso attaccato all’amo, il mare prese a ribollire, perché colei che stava sotto stava cercando di liberarsi. Ma più lottava e più restava impigliata. Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie, con le costole agganciate all’amo.Il pescatore si era girato per raccogliere la rete e non vide la testa calva affiorare dalle onde, non vide le piccole creature di corallo che guardavano dalle orbite del teschio, non vide i crostacei sui vecchi denti d’avorio.
Quando si volse, l’intero corpo era salito in superficie e pendeva dalla punta del kayak.
“Ah!”, urlò l’uomo, e il cuore gli cadde fino alle ginocchia, gli occhi per il terrore si nascosero in fondo alla testa, e le orecchie diventarono rosso fuoco. La gettò giù dalla prua con il remo, e prese a remare come un demonio verso la riva. Non rendendosi conto che era aggrovigliata nella lenza, era sempre più terrorizzato perché essa pareva stare in piedi e seguirlo a riva. Per quanto andasse a zig zag restava lì dietro ritta in piedi e il suo respiro rovesciava sulle acque nuvole di vapore, e le braccia si lanciavano in acqua come per afferrarlo.
Alla fine l’uomo raggiunse il suo igloo, si lanciò nella galleria, e a quattro zampe penetrò all’interno. Ansimando e singhiozzando giacque nell’oscurità, con il cuore che batteva come un tamburo. Finalmente al sicuro.

Ma quando accese la lampada all’olio di balena, eccola, lei era lì, ed egli cadde sul pavimento di neve con un tallone sulla sua spalla, un piede sul suo gomito. Non seppe poi dire come fu, forse la luce del fuoco ne ammorbidiva i lineamenti, o forse perché era un uomo solo. Fatto sta che sentì nascere come un sentimento di tenerezza, e lentamente allungò le mani sudicie e prese a liberarla dalla lenza. “Ecco, ecco”, prima liberò le dita dei piedi, poi le caviglie. E continuò nella notte, e la coprì di pellicce per tenerla al caldo. Cercò la pietra focaia e accese il fuoco. Lei non diceva una parola – non osava – perché altrimenti quel cacciatore l’avrebbe presa e gettata agli scogli.
All’uomo venne sonno, scivolò sotto le pelli e cominciò ben presto a sognare. Talvolta, durante il sonno, una lacrima scivola giù dall’occhio di chi sogna, quando c’è un sogno di tristezza o di struggimento. E questo accadde all’uomo. La Donna Scheletro vide la lacrima brillare nella luce del fuoco, e d’improvviso sentì un’immensa sete. Si trascinò accanto all’uomo addormentato e posò la bocca su quella lacrima. Quell’unica lacrima era come un fiume, e lei bevve e bevve finchè la sua sete di anni non fu placata.
Frugò nell’uomo addormentato e gli prese il cuore, il tamburo possente. Si mise a sedere e si mise a picchiare sui due lati del cuore. Mentre suonava si mise a cantare: “Carne, carne, carne!”. E più cantava più si ricopriva di carne. Cantò per i capelli e per buoni occhi e per mani piene. Cantò la linea tra le gambe, e il seno, abbastanza grande da trovarvi calore, e tutte le cose di cui una donna ha bisogno. E poi cantò i vestiti, che si togliessero dal dormiente, e scivolò nel letto con lui, pelle a pelle. Rimise il suo cuore nel suo corpo, e così si risvegliarono stretti uno nelle braccia dell’altra, aggrovigliati dalla loro notte, in un altro mondo, bello e duraturo.

igloo

Questa fiaba è anche una metafora delle relazioni d’amore: l’incapacità di affrontare e sbrogliare la donna scheletro è una delle cause che fa fallire molte relazioni.
Quando da parte del pescatore avviene il ritrovamento accidentale del “tesoro”, ovvero la donna nella rete, egli trova molto più di quello che si sarebbe aspettato e non si rende conto che sarà messo alla prova. Limitarsi a sognare l’amore perfetto è facile e c’è immobilità in questa condizione, come se fossimo dentro a un sogno a occhi aperti che può continuare all’infinito. Finchè qualcosa non cade nella rete; può essere anche qualcosa dalla forma insolita, che richiede di iniziare a riflettere sul da farsi. Come gli innamorati che all’inizio di una relazione cercano soltanto la novità e l’ eccitazione, così il pescatore vuole semplicemente trovare di che nutrirsi.

Perchè l’uomo trova la donna scheletro? Perchè ogni cambiamento richiede una piccola morte, anche l’amore: passare da questa immobilità al fatto di sbrogliare la donna dalla sua rete richiede un sacrificio, rappresentato dallo scheletro.
Passare da essere soli alla coppia e poi dall’innamoramento all’amore, richiede di far morire qualche cosa: l’illusione, le aspettative, la bramosia di avere tutto e subito, il desiderio/fantasia di prendere solo il bello, il fatto di non dover pensare ad altro che a sè stessi. L’amore è movimento, paura, fatica: è una corsa verso l’igloo, per poi fermarsi, imparare a restare quando ogni cellula dice “scappa”, perchè in fin dei conti amare significa stare con.

Anche Halloween rappresenta un momento dell’anno di cambiamento, con l’arrivo del freddo e la “morte” dei campi, fino alla rinascita in primavera, seguendo il ciclo naturale di Vita-Morte-Vita.
Il potere trasformativo si vede anche nella storia, attraverso la lacrima e il cuore-tamburo.

La lacrima del pescatore scende nel momento in cui lui sente il proprio dolore e la propria solitudine, significa “ammetto la mia ferita”. Aprire il proprio cuore permette di vedere la propria ferita, toccarla, iniziare a vedere come questa ha condizionato la nostra vita fino a quel momento, e iniziare a curarla. Non è mai l’altro, il nostro oggetto d’amore, a guarirci, e non è giusto aspettarselo.

Il tamburo fatto con il cuore apre a uno stato di trance, è un richiamo e una meditazione profonda che apre a nuove consapevolezze e ci permette di amare appieno, senza riserve, senza sarcasmo né protezionismo. Quando un uomo come il pescatore dona tutto il suo cuore, egli diventa di una forza della natura ed è investito di poteri femminili, ovvero porta con sè i semi di una nuova vita, ed è così che la donna scheletro si trasforma in un essere vivente.
Dice a riguardo Clarissa Pinkola Estes, che parla di questa fiaba nel suo libro Donne che corrono coi lupi: “il dono del corpo è uno degli ultimi delle fasi dell’amore, così come dev’essere. Non accettate l’amante che subito vuole il corpo, insistete perché tutte le fasi si sviluppino. Fare l’amore è rimescolare spirito e carne, spirito e materia. Per amare dobbiamo fare l’amore con la strega”.

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Come nasce un laboratorio di storie: Scrittura-Azione

Qual è la storia di Scrittura-Azione?
Perchè è giusto che un laboratorio di storie, e che ne raccoglie tante, abbia la sua.

Inizia tutto a settembre 2017, quando io e Catia Gribaudo conduciamo, all’interno della rassegna Giornata delle ArtiXTutti, il laboratorio di scrittura autobiografica “Il cortile della mia infanzia”.

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Da gennaio ad aprile 2018 io, Catia e Martino facciamo partire la prima edizione del laboratorio Scrittura-Azione.
Si forma un gruppo di 10 persone, vitale e creativo. Anche nutriente: l’immagine dei pomodori ci accompagnerà dal primo incontro.

Nel frattempo organizziamo un incontro aperto in cui incontriamo Carie; Andrea, Manuela e Paolo, membri della redazione, sono super gentili e disponibili e hanno finito per giocare e scrivere con noi. GUARDA QUI LE FOTO

Quasi un mese fa, Scrittura-Azione è tornato alla Giornata delle ArtiXTutti con un laboratorio a tema sulla Poesia, in cui abbiamo esplorato la ricchezza della parola e scritto una poesia di gruppo, in cui, come un segno del destino, sono tornati i nostri pomodori. GUARDA QUI LE FOTO

scrittura

E ora, eccoci qua. Ancora io e Catia, con gli stessi metodi di azione e interazione. Questa volta abbiamo un programma completamente diverso, diviso in tre moduli, e ricordo che è possibile partecipare solo a uno o due di questi.
Il nostro programma:

1° modulo IL ROMANZO DI FORMAZIONE

22 ott. Raccontami una storia
29 ott. Il viaggio dell’Eroe
05 nov. “Nelle situazioni di crisi, all’Eroe manca sempre la sua arma”

2° modulo IL POTERE DELLA PAROLA

12 nov. Formule magiche e altri Abracadabra
19 nov. Filastrocche e giochi da ragazzi
26 nov. Il potere dell’amore nella poesia

3° modulo IDENTITA’ E ALTERITA’

03 dic. La maschera
10 dic. Gli altri siamo noi?
17 dic. Specchio delle mie brame

Per informazioni e iscrizioni, inviare una email a torinopsico@gmail.com

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L’attacco di Pan…ico

Cosa sono gli attacchi di panico?

In sintesi, manifestazioni di ansia molto intense, accompagnate da sintomi fisici di malessere, perdita di contatto con la realtà e senso di morte imminente. Quando il senso di angoscia che ci fa dire “mi sento morire” si manifesta attraverso il corpo, si può incorrere in un attacco di panico.

Possono essere ricorrenti e spingere chi ne soffre a isolarsi, a non uscire di casa, interrompere attività quotidiane e di routine. Può accadere, in occasione di attacchi di panico accompagnati da sintomi fisici molto forti, di ritrovarsi in pronto soccorso, certi di stare male, molto male. E in effetti è così, soltanto che si tratta di sintomi causati dall’ansia e non di ansia derivante da una patologia organica.

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La parola panico ha origine dal nome del dio Pan, un fauno dall’aspetto spaventoso con zampe e corna caprine, divinità della natura, dei pascoli, dei campi e delle greggi; ha un’indole selvaggia, segue gli istinti ed è solito molestare le ninfe nella foresta, comparendo improvvisamente.
Impetuoso e violento, sembra arrivare senza una ragione, e improvvisamente, come è venuto, se ne va. Così si sentivano le ninfe, così si sente chi ha sperimentato un attacco di panico.
Ma il nome “attacco di panico” deriva da una caratteristica particolare del dio, ovvero l’urlo di pan, capace di lasciare i nemici in uno stato di terrore, semisvenuti e spossati, immobilizzati e incapaci di prendere decisioni.

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Perchè si manifesta un attacco di panico?

Forse colpisce chi vive contro (la propria) natura, chi è troppo controllante? Il dio viene a ricondurre su sentieri altri, più connessi ai nostri istinti, bisogni e desideri?
Pan è figlio di Ermes, il messaggero degli dei: allora forse il comportamento di Pan quando ci possiede rivela un senso, un messaggio?
Questa divinità stupra e spaventa, ma al tempo stesso può salvare, in accordo con la psicologia analitica di Jung che prevede l’integrazione e la compresenza degli opposti; in Amore e Psiche di Apuleio, quando Psiche tenta il suicidio gettandosi nel fiume, la fanciulla incontra Pan che la dissuade e le suggerisce un modo diverso di agire.

L’attacco del dio Pan, in breve, chiede a gran voce di essere ascoltato.

Dove conduce questo cammino nella foresta, dipende caso per caso, ma la destinazione è sempre la stessa: una ritrovata armonia con l’anima.

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Il ciglio del lupo

Questo è una breve storia dedicata alle donne, e a quegli uomini che proprio le donne non riescono a capirle anche se vorrebbero, ma anche agli uomini che invece si sentono molto vicini alla sensibilità del femminile.

 

C’era una volta, e c’è ancora, ma già mentre scrivo non è più la stessa, una donna-lupo.

Questa lupa per molti anni è stata abilmente travestita in forma umana, salvo tradirsi nelle notti di luna piena, quando il richiamo della natura selvaggia è troppo forte.

Nel resto del tempo brancolava (e che verbo meraviglioso è mai questo, per indicare il viaggio dei lupi, animali che abitano nel branco) nel buio delle ombre della foresta.

La natura del lupo è giocosa, ma mordace; si tratta di un animale leale, monogamo, coraggioso e dedito alla cura dei piccoli. Si potrebbe dire che il lupo è legato alla famiglia, ma anche che sia simbolo della fiducia.

donna e lupo pandora

Forse prima ti ho spaventato parlando di natura selvaggia, termine che di per sè potrebbe richiamare ciò che è incontrollato, e quindi pericoloso. In realtà la donna-lupo non cerca altro che vivere una vita naturale, nella sua integrità.

Questa lupa  sta imparando il significato del femminile, della forza necessaria ad essere portale di vita-morte-vita. Tra gli esseri umani non insegnano ad essere creature insieme guerriere e accoglienti, mancano i riti per la vita e per la morte, le donne non si tramandano più i loro segreti sul corpo, sugli uomini e sui sogni.

Perchè sono proprio le donne a correre coi lupi? Perchè sono creature intrinsecamente connesse, legate a ciò che è onirico, notturno e ombroso. A ciò che è istintuale, al sentire, che sia col cuore, con i sensi o con l’intuizione.

Alla donna-lupo, quando è giovane e inesperta, manca la saggezza. Deve andare a pungersi il naso con i ricci, impiastricciare le zampe nel fango, correre fino a perdersi, per imparare qualcosa sul mondo, ma soprattutto per imparare a fidarsi del suo sentire.

 

Ma una storia ne chiama un’altra, e così di seguito riporto “Il ciglio del lupo”, inserito da Clarissa Pinkola Estes nel suo Donne che corrono coi lupi.

 

“Non andare nel bosco, non uscire“, dissero. “E perché no? Perché non dovrei andare nel bosco stasera?” domandò lei.
“C’è un lupo grande grande che mangia le creature come te. Non andare nel bosco, non andare. Diciamo sul serio.”
Naturalmente, lei uscì. Se ne andò comunque nel bosco e, ovviamente, incontrò il lupo, proprio come le avevano detto.
“Hai visto? Te l’avevamo detto” osservarono soddisfatti.
“Questa è la mia vita, e non una favola, stupidi che non siete altro“, disse lei.
“Io devo andare nel bosco, devo incontrare il lupo, altrimenti la mia vita non avrà mai inizio.”

Ma il lupo che incontrò aveva una zampa imprigionata nella trappola. “Aiutami, oh, aiutami! Ahi, Ahiiii!” urlava. “Aiutami, oh, aiutami! Ti darò la giusta ricompensa.”
Perché così si comportano i lupi in racconti di questo genere. “Come posso essere sicura che non mi farai del male?” chiese lei. Stava a lei porre domande.
“Come faccio a sapere che non mi ucciderai e non lascerai di me le ossa soltanto?” “Domanda sbagliata“, ribatté il lupo. “Devi soltanto credere alla mia parola.” E riprese a urlare e a gemere e a lamentarsi.
“Oh, ahiiiii!Ahiiiii!Ahiiiii! C’è una sola domanda che vale la pena porre, cara ragazza. Oh Ahiiiii!”

“Senti lupo, correrò il rischio. Ecco qua!” e fece scattare la trappola, e il lupo tirò fuori la zampa e lei gliela fasciò con erbe e foglie. “Ah, grazie, cara ragazza, grazie mille”, sospirò il lupo.
E siccome lei aveva letto troppi racconti del tipo sbagliato, si mise a gridare: “Avanti, ora uccidimi pure, e finiamola con questa faccenda”. E invece no, non andò affatto così.
Il lupo le posò la zampa sul braccio. “Sono un lupo di un altro tempo e di un altro luogo”, affermò.
E, strappatosi dall’occhio un ciglio, glielo porse dicendo: “Usalo, e sii saggia. D’ora in poi saprai chi è buono e chi tanto buono non è. Guarda semplicemente con i miei occhi, e vedrai con chiarezza.
Per avermi lasciato vivere, ti permetto di vivere in modo che non si è dato mai. Rammenta, c’è un’unica domanda che valga la pena porre, cara ragazza: dov’è l’anima?”

E così se ne tornò al villaggio, felice di aver salva la vita.
E questa volta quando dissero: “Resta qui come mia sposa”, oppure “Fà come ti dico”, o “Dì quel che ti dico di dire, e resta una pagina bianca come il giorno in cui sei venuta”, prendeva il ciglio del lupo e attraverso quello guardava e vedeva i loro moventi quali mai li aveva visti prima.
E la prima volta che il macellaio pesò la carne, lei guardò attraverso il ciglio del lupo e vide che pesava anche il suo pollice.
E guardò il suo corteggiatore che disse: “Vado così bene per te”, e vide che non andava bene per niente al mondo. E così, e in tanti altri modi ancora, fu salvata, non da tutte ma da molte sventure.
Inoltre, con questa capacità nuova, non soltanto vide l’infido e il crudele, ma iniziò a crescere immensa di cuore, perché guardava ogni persona e la soppesava in modo nuovo attraverso il dono del lupo che aveva salvato.

E vide quelli davvero gentili, e a loro si avvicinò, trovò il suo compagno, e rimase con lui per tutti i giorni della sua vita, seppe distinguere i coraggiosi, e a loro si avvicinò, comprese le persone leali, e a loro si accostò, vide lo smarrimento sotto la collera, e si affrettò ad alleviarla, vide amore negli occhi dei timidi, e a loro si avvicinò, vide la sofferenza sulle labbra tirate, e ne corteggiò il riso, vide il bisogno nell’uomo senza parole, e per lui parlò, vide la fede in profondità nella donna che diceva di non avere fede, e della sua fede si riaccese.
Ogni cosa vide con il suo ciglio di lupo, tutte le cose vere, e tutte quelle false, e quelle rivolte verso la vita, tutte le cose viste soltanto attraverso gli occhi di ciò che pesa il cuore con il cuore, e non con la mente soltanto. Fu così che apprese che è vero quel che si dice, che il lupo è il più saggio di tutti.

Se ascolti con attenzione, il lupo nel suo ululato sempre va ponendo la domanda più importante.
Non dove si troverà il cibo, dove si svolgerà il prossimo combattimento, né dove la prossima danza, ma la domanda più importante onde vedere dentro e al di là e soppesare il valore di tutto ciò che vive:
“Dov’è l’anima? Dov’è l’anima?
Andate nel bosco, andate. Se non andate nel bosco, nulla mai accadrà, e la vostra vita non avrà mai inizio. Andate nel bosco, andate. Andate nel bosco, andate.”

 

Questo è solo un esempio delle mille storie che raccontano come si diventa lupe. La Lei in questione, va nel bosco, decide di rischiare  e di fidarsi del lupo, che altri non è se non la sua natura selvaggia. Lì nel bosco, ne trova un pezzetto, un ciglio. E decide di usare quel frammento come una lente, per soppesare lo stato delle cose e la vita condotta fino a quel momento.

 

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Piccola gallery con alcuni disegni di Chiara Bautista

 

Con il tempo, con l’esperienza, anche sbagliando (poichè fu salvata da molte sventure, ma non da tutte), crebbe immensa di cuore, saggia… e nella sua nuova saggezza da lupa, si faceva delle domande, una in particolare era la più importante, quella che guidava il suo cammino: dov’è l’anima?

Di cosa si tratta, ditelo voi.

Buon viaggio.

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Quando la cicogna vola via

Gli psicologi lo sanno bene: esistono argomenti tabù, difficili da affrontare persino in terapia. Questi riguardano principalmente il sesso, il denaro, la morte.
Per quanto riguarda la morte, ho per così dire riscontrato un tema “accessorio”, di cui si parla veramente poco: l’aborto spontaneo.

Nella società come nel quotidiano a volte viene nominato l’aborto, ma in termini di interruzione volontaria di gravidanza (IVG), che rappresenta anche un tema politico; se riflettete per un attimo, vi accorgerete che è difficile sentir parlare di aborto spontaneo. Dal canto mio, posso testimoniare che anche la letteratura scientifica sull’argomento scarseggia, pure in psicologia. Asserisce un report ISTAT (2017)*: “l’Italia è comunque uno dei pochi Paesi ad avere un’indagine dedicata specificamente al fenomeno”.

Che si tratti di un vero e proprio tabù culturale, ce lo fa capire persino wikipedia, quando scrive “Alcuni raccomando di non usare il termine ‘aborto’ nelle discussioni con coloro che subiscono un aborto spontaneo, nel tentativo di diminuire il disagio”. Peccato che non nominare l’evento che provoca dolore, renda difficile l’elaborazione di un lutto che a queste condizioni non trova spazio nè dignità. Infatti il significato del tabù è proprio questo: qualcosa di non dicibile, di proibito (proprio come era l’IVG in Italia prima della legge 194 del 1978 e come è ancora in alcuni Paesi).

Quando inizia una gravidanza, scaramanzia vuole che non se ne parli fino al terzo mese, termine oltre il quale è meno frequente incorrere in un aborto. In questo modo, dovesse succedere il peggio, nessuno o quasi lo saprebbe, e non si sarebbe costretti a parlarne. Tabù: inesprimibile. E’ così anche nel famoso gioco di carte, taboo, caratterizzato dall’immagine stilizzata di un volto che si copre la bocca con una mano.

Se però l’informazione non circola, non si sa nemmeno che questo avvenimento può accadere, e con quale frequenza.
L’aborto, la fine di una vita nel suo principio, è un fatto doloroso anche per chi non lo vive e mette un’ansia tale che può succedere di sentirsi dire da personale medico, amici e familiari una frase maldestra: Ti sei affaticata? E’ selezione naturale. Ecc.

Roots by Frida Kahlo
Roots, Frida Kahlo

Qual è la verità? Cosa si cela di invisibile sotto la coltre del silenzio?
Che l’aborto spontaneo può succedere, anche in coppie perfettamente sane e giovani, e spesso riguarda alterazioni cromosomiche, per cui può davvero non esserci una causa apparente. In tempi così precoci, poi, è quasi impossibile intervenire se escludiamo lo stare a riposo e l’assunzione di progesterone, e possono essere alti i livelli di frustrazione e il senso di impotenza della coppia come del personale sanitario.
E poichè nessuno ne parla, nemmeno ci si immagina che “Secondo la letteratura l’evento rappresenta l’esito di circa il 15 per cento delle gravidanze clinicamente riconosciute (Alijotas-Reig, Garrido-Gimenez, 2013). Se si considerano anche le gravidanze interrotte precocemente e che possono venire scambiate come irregolarità mestruali, alcune stime si assestano attorno al 30 per cento: quindi circa un terzo delle gravidanze totali termina in un aborto spontaneo”. *

Come reagire di fronte a un simile lutto? Ognuno è diverso e troverà il suo modo e i suoi tempi. Non dubitate mai che si tratti di un vero e proprio lutto, che l’aborto sia spontaneo o sia stata una IVG, e a prescindere dalla settimana o dal mese in cui avviene.
Abbandono dal principio qualsiasi intento consolatorio e mi limito a riportare alcune testimonianze scritte insieme alle due canzoni che ho scelto per accompagnare la lettura.

 

* ISTAT, La salute riproduttiva della donna, 2017

 

“Nonostante Peter ricordi ancora la piccola Maimie, è tornato gaio e spensierato come sempre, e spesso quando è al culmine della felicità salta giù dalla sua capra e si sdraia sereno sull’erba. Oh, che ore gioiose!
Tuttavia continua a serbare un vago ricordo di quando era un essere umano, ed è per questo che è sempre gentile con le rondini domestiche che si recano in visita sull’isola, perchè le rondini domestiche sono gli spiriti dei neonati morti. Questi uccelli costruiscono sempre i loro nidi sulle grondaie delle case in cui vivevano quando erano bambini, e talvolta tentano di entrare nelle loro camerette dalla finestra: forse è per questo che Peter ama questi uccelli più di tutti gli altri.”
Peter Pan nei Giardini di Kengsinton, J. M. Barrie (1906)

 

“Perché avrei dovuto, mi chiedi, perché avresti dovuto? Ma perché la vita esiste, bambino! Mi passa il freddo a dire che la vita esiste, mi passa il sonno, mi sento io la vita. Guarda s’accende una luce. Si odono voci. Qualcuno corre, grida, si dispera. Ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore.”
Lettera a un bambino mai nato, O. Fallaci (1975)

 

“L’inverno era stato freddissimo: neve, gelo e vento per mesi e mesi avevano
fatto da padroni sulla terra.
Era passato febbraio, ma nessun fiore osava mostrarsi, nessuna foglia aveva
voglia di schiudersi,
“Se viene il vento gelido, per noi è finita” – dicevano le pratoline
nascoste sotto terra al calduccio.
“Qui sto bene” – diceva la gemma e rabbrividiva sul ramo.
“Quest’anno continueremo a dormire “– ripetevano le viole.
Ma un alberello tutto nero che si alzava diritto sul colle disse:
“Proverò io e se i miei fiori saranno bruciati dal gelo, pazienza, ne
metterò degli altri”.
E un mattino mise fuori, timido timido, il primo fiore. Non faceva poi così
freddo! Subito ne mise un altro, e poi un altro ancora.
Ben presto la pianta fu tutto uno splendore di petali bianchi.
L’aurora che si affacciava guardò commossa l’alberello coraggioso e per
premiarlo gli diede i suoi colori.
I petali bianchi si tinsero di un rosa delicato.
Da quel giorno, tutti gli anni, appena l’inverno finisce il mandorlo si copre di
petali bianco rosati e annuncia agli uomini che la primavera è vicina.”
Leggende di Fiori, F. Riggio Lorenzioni (1960)